Parole da scoprire
- Le origini non sono tutto, ma costituiscono un
tassello importante per dar vita al grande mosaico dell' identità.
Come accade alle persone anche le parole hanno un' origine (dal latino origo -ĭnis, derivato di oriri, nascere, provenire, cominciare) più precisamente un ètimo (dal greco ἔτυμον, neutro
sostantivato dell’aggettivo ἔτυμος, étymos, vero, reale). La
scienza che si occupa di studiare l'origine e la storia delle parole si
chiama etimologia, (dal greco _ἔτυμος, étymos e λόγος, lógos, studio).
Conoscere la storia di una parola è importante perché permette di capire cosa c'è dentro una parola e da semplice strumento per comunicare la parola si trasforma in un mondo da esplorare. È utile anche per chi studia una nuova lingua, infatti capire da dove vengono le parole di una lingua può aiutare a conoscere meglio la cultura, le persone e il Paese di quella lingua. Sapere bene una lingua non significa conoscere un sacco di parole, ma saperle usare bene.
- In principio era il verbo, in seguito si trasformò in tante parole...

Per i Greci e i Latini la parabola era un esempio, una
similitudine, usata per chiarire un argomento difficile. Con l'avvento
del Cristianesimo, gli scrittori cristiani iniziano a usare il termine parabola per indicare un discorso, una parola, in quanto le
parabole di Gesù sono le parole divine per eccellenza.
Oggi
la parola è la minima unità isolabile all’interno della frase e del
discorso. È dotata di un senso fondamentale (cioè vive nella coscienza
linguistica dei parlanti) e di un senso contestuale (ossia assume un
particolare valore in un determinato contesto). Le
parole ci servono per comunicare e non smettiamo mai di impararne di
nuove. Chi studia una lingua straniera è a caccia di parole ogni giorno.
Raccoglie sia parole che sembrano oscure sia quelle che sembrano belle.
Raccoglie un sacco di aggettivi per descrivere migliaia di situazioni e
innumerevoli sostantivi e avverbi che forse non serviranno mai. Alcune
parole spariscono perché la memoria a volte tradisce, altre invece si
imprimono nella memoria e formano il bagaglio - piano piano sempre più
grande - di parole in quella nuova lingua che diventerà una lingua
sempre meno straniera.
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L'etimologia
di quella che è considerata la più alta attività della mente umana è
molto interessante. Il termine pensiero, infatti, deriva dal latino pensum, participio del verbo pendĕre, che nel suo senso originario,
indicava la quantità di lana pesata prima di essere passata alle
filatrici di epoca romana, le quali avevano il compito di lavorarla. Il pensum era quindi la materia prima, più grezza, che doveva essere
secondariamente trattata, elaborata, dandogli così una nuova forma.
Per
i Romani dunque il pensiero ha un'origine fondamentalmente pratica e manuale, che prende la forma di una tela tessuta secondo una precisa trama di fili manipolati con attenzione e pazienza.
*Divertente [di-ver-tèn-te] è un aggettivo ma anche il participio presente del verbo divertire che deriva dal latino divertĕre: di(s)_ ha funzione di allontamento e vertĕre vuol dire girare dunque allontanarsi, volger(si) altrove.
Divertire, dunque, diventa un verbo di movimento, non solo delle gambe ma anche del cuore, perché bisogna avere il coraggio di abbandonare la propria posizione per spostarsi verso una nuova. Così è divertente chi sa cambiare strada per prenderne una nuova, chi sa esplorare strade alternative senza avere paura. Può fare ciò solo chi ha curiosità, chi ha ben chiaro che le possibilità sono di più di quelle che vediamo. Inoltre la persona divertente ci fa ridere, e questo riso nasce, non tanto dalla simpatia della persona, ma dal suo coraggio di percorrere nuove strade che ridimensionano l'importanza e la grandezza della via principale. Il divertimento è leggerezza perché allevia, rincuora e ci allontana dall'abitudine, dalla routine che è meccanica, ordinaria e spesso noiosa e pesante.
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Lo scoprire dunque è togliere a una cosa
ciò che la copre, la nasconde, la ripara. Non è un vago ampliamento
della conoscenza, ma un momento preciso in cui il velo dell'ignoto si
alza sotto gli occhi dello scopritore. La scoperta è l'inclusione
nell'esperienza umana di ciò che prima si ignorava. Non necessariamente è
preceduta da un ricerca, non sempre è voluta, può capitare per caso,
all'improvviso, può essere un'epifania illuminante. È una rivelazione,
're-velare' appunto togliere il velo, che cambierà per sempre la
nostra visione del mondo. La figura che meglio incarna l'atto della
scoperta è Pandora, la bellissima Pan-dora, «dono di tutti gli dèi»,
oppure «colei che da tutti gli dèi ricevette un dono», che viene mandata
sulla terra dal padre di tutti gli dèi per punire gli uomini. In questo
mito, Pandora giunge tra gli uomini con un vaso, dono di Zeus,
contenente mali e beni, e l'ordine divino di non aprirlo. Pandora,
curiosa, solleva il coperchio, e tutti i mali, i dolori, la morte e la
speranza escono vorticando dal vaso, riversandosi sulla terra e
cambiando per sempre la visione dell'umanità.
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Oggi
ci fermiamo a riflettere sulla parola passione nella sua accezione di
'forte interesse per qualcosa'. Spesso in italiano tendiamo a
sostituire questa parola con hobby, prestito dall'inglese, ormai
accolto dalla lingua italiana.
Soffermandoci
sull'etimologia del termine passione scopriamo che esso è riconducibile
sia al participio perfetto pàssus del verbo latino pàti, soffrire, patire, che significa letteralmente sofferto, patito, sia al greco πάθος (pathos) che racchiude
anch'esso il senso della sofferenza, ma indica anche una forte
emozione. Per tale motivo passione indica sia
un momento di profonda sofferenza, ma nel suo senso più comune indica
un desiderio, un trasporto dell'animo che si contrappone alla
ragione. Aveva, dunque, ragione Pascal a dire che
«le cœur a ses raisons que la raison ne connaît pas» (il cuore ha le sue
ragioni che la ragione non conosce), così anche la passione, quale amore smisurato verso qualcosa, è estraneo alla ragione umana.
Effettivamente quando qualcosa ci piace molto, ci piace e basta! La
coltiviamo con amore senza porci troppe domande. Ingegnarsi, v. rifl., Fare del proprio meglio. (Stampato su un ciondolo realizzato con i frammenti di un dizionario di italiano degli anni ’60 e di una enciclopedia per ragazzi degli anni ’50). ![]() Deriva dal latino medievale ingeniari, derivato a sua volta del latino classico ingĕnĭum, in italiano ‘ingegno’, composto da ĭn- ‘dentro’ e da un derivato del verbo gignĕre ‘generare, produrre’. È un verbo corposo che unisce la capacità creativa a un atto pratico, indicando un’azione in cui tutte le forze del proprio lavoro, della propria abilità e della propria intelligenza sono dispiegate per ottenere uno scopo. Tutti noi tendiamo ad attribuire l’ingegno solo ai geni (dal latino gĕnĭus, connesso con gignĕre ‘generare’; in latino era un nume tutelare, uno spirito che presiedeva alla nascita degli esseri umani e li proteggeva sino alla morte: l’anima che possedevano non solo le persone ma anche i luoghi, i popoli, le cose e le attività umane), ai grandi pensatori, agli artisti, ma potrebbe sorprenderci scoprire che l’ingĕnĭum latino indicava invece un’indole propria di ogni persona, che, non solo deve darci la dimensione innata dell’ingegno, ma deve spingerci a far uscire l’ingegno che c’è in noi e metterlo all’opera.
Ritorno [ri-tór-no] deriva da ritornare, che a sua volta si è formato sulla base di tornare, che in latino significava 'lavorare al tornio'. Il tornio, attrezzo che funziona girando, sfrutta proprio il moto circolare per imprimere, per dare una forma a un pezzo di materia. L'idea del ritorno può essere applicata a tante situazioni. È l'atto e l'effetto del ritornare nel luogo dal quale ci si era allontanati, ma anche della ciclicità del tempo, si parla infatti di ritorno delle stagioni, di ritorno dell'alba ogni mattino. Si chiama anche ritorno la restituzione di qualcosa. Nel linguaggio dell'economia, il ritorno è il reddito che deriva da un investimento, ma anche apprezzamento: un'iniziativa culturale ha un ritorno se piace e riesce ad attrarre molto pubblico. Il ritorno ha un significato preciso anche in filosofia, in quanto i fatti dell'universo si ripetono ciclicamente: conoscere significa ricordare, ogni cosa è già avvenuta, e la storia non si sviluppa in linea retta ma in cerchio, come suggerisce il poema del ritorno, l'Odissea di Omero. Insomma il ritorno non è mai semplice, ma sicuramente tutto prima o poi torna, magari sotto altre forme e prospettive. |
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